Niente di ciò che è umano considero a me estraneo (Publio Terenzio Afro)
La premessa da cui parto per spiegare l’Effetto Lucifero, è che ogni comportamento, gesto, acquista significato solo se è inserito in un contesto, in una data situazione. Se noi isoliamo un determinato comportamento dal contesto da cui ha origine, lo svuotiamo di qualsiasi senso.
Altra cosa importante, per capire cos’è l’Effetto Lucifero, bisogna partire dal famoso esperimento progettato nel 1971 dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo e conosciuto come “Esperimento carcerario di Stanford”.
Siamo soliti pensare che il bene e il male siano due entità contrapposte e tra loro ben separate. Così come siamo convinti, che essere buoni o cattivi dipenda semplicemente da una nostra disposizione interna.
Questa semplificazione ci fa molto comodo, perché ci fa pensare che non potremmo mai diventare cattivi o malvagi. Ci fa sentire “buoni” e allontana l’idea che un giorno potremmo anche noi trasformarci in carnefici crudeli, autori di quelle atrocità, che ci fanno inorridire.
Quindi, così come stanno le cose sembrerebbe, che l’essere buoni o malvagi dipenda semplicemente da una predisposizione interna, da un atto di volontà, perché siamo noi a scegliere da che parte stare. Infatti, quando qualcuno compie delle azioni moralmente riprovevoli, siamo convinti, che sia lui a essere responsabile di tali azioni. Questo modo di pensare porta all’altra convinzione altrettanto diffusa, che una persona sia sempre buona o cattiva: se si nasce buoni, lo saremo per sempre e viceversa.
Non nasciamo buoni o cattivi
La domanda è, ma i comportamenti moralmente riprovevoli sono dovuti semplicemente alla natura malvagia o dalla volontà di chi li compie? Le ricerche condotte da Zimbardo mescolano o addirittura ribaltano questo modo di interpretare la natura umana.
Non sono le disposizioni individuali del carattere del singolo, che lo rendono più o meno capace di compiere azioni malvage, ma è il contesto. In altri termini: è la situazione, in cui un individuo si trova immerso, che può portare a mettere in atto comportamenti brutali.
Infatti, la tesi sostenuta dall’autore dell’Effetto Lucifero, dopo quanto è emerso dal suo famoso esperimento, è che ciascuno di noi può trasformarsi da Lucifero in Satana. Infatti, il diavolo prima che diventasse quello che è diventato, era l’angelo più bello e intelligente. Era il capo di tutte le creature celesti.
Da questo episodio si comprende il perché questo fenomeno prende il nome di Effetto Lucifero. Zimbardo si serve dell’immagine di Lucifero per dare l’idea di come ognuno di noi può trasformarsi in una persona malvagia quando è inserito in una determinata situazione. Nell’essere umano questa trasformazione non avviene per una predisposizione interna, ma dipende da due elementi: il “sistema di appartenenza” e la “situazione” in cui si trova.
In altre parole: noi non scegliamo di diventare cattivi, ma lo diventiamo quando siamo inseriti in certi contesti. Appena cessa una determinata situazione torniamo a essere nuovamente “buoni”. Per spiegarmi meglio, è l’interazione delle forze situazionali (esterne) e delle forze disposizionali (interne) a spingere gli individui a compiere azioni moralmente riprovevoli e impensabili.
Secondo questo modo di vedere, l’uomo non è intrinsecamente malvagio, ma lo è potenzialmente. Nel senso che tutti possono rendersi autori di comportamenti malvagi come conseguenza del modo in cui percepiscono un determinato contesto nel quale sono inseriti.
Questo non significa che un contesto o un ruolo deve per forza farci diventare cattivi, ma semplicemente, che ne aumenta le probabilità. Come non vuole assolutamente giustificare o assolvere i comportamenti moralmente riprovevoli. Lo scopo è quello di comprendere le dinamiche che possono favorire comportamenti criminosi o immorali, per cercare di arginarli e contrastarli.
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